Limitare gli impatti, ridurre le emissioni, garantire uno sviluppo sostenibile dell’economia: sono i mantra della società moderna, e ormai ci capita di ascoltarli ogni giorno e in ogni situazione. Ma mentre il mondo si interroga per trovare nuove soluzioni in grado di conciliare redditività e tutela dell’ambiente, c’è chi è convinto che in realtà non serva chissà quale rivoluzione: basterebbe ispirarsi alla natura, e soprattutto imitarla. È l’economista e imprenditore belga Gunter Pauli, già fra i promotori del Protocollo di Kyoto e dal 2010 ideatore della Blue Economy, un sistema che supera il più famoso modello “Green” basandosi su un principio solo apparentemente banale: in natura i rifiuti esistono, tutto si trasforma in risorsa.
Nel formulare la sua teoria, Pauli è partito da un’esperienza personale che l’ha portato a una conclusione. «Dopo essermi occupato per anni di Green Economy, mi sono reso conto che vista da vicino cercava solo di rendere i mercati globalizzati un po’ meno dannosi. E poi che non era affatto alla portata di tutti, perché quel che è considerato buono, sano e rispettoso della Terra è in realtà estremamente costoso sia per i produttori che per i consumatori. E questo non ha senso».
Pauli ha quindi iniziato a ragionare su sistemi produttivi alternativi ispirati non più al principio della conservazione dell’ambiente bensì alla capacità di rigenerazione della natura. Lo ha fatto attraverso la Zeri Foundation (Zero Emissions Research Initiative), think tank da lui fondato nel 1994 e considerato dalla University of Pennsylvania uno dei laboratori più innovativi al mondo sulla sostenibilità. Con il supporto di oltre 3.000 studiosi ed economisti di tutto il mondo, la fondazione ha dato vita a decine di modelli di business disruptive in cui la valorizzazione degli scarti è spinta all’estremo. Progetti che utilizzano i fondi del caffè per coltivare funghi, gli scarti dei birrifici per fare il pane, i detriti di roccia per ricavare la carta o i pannolini dei bebè per far crescere alberi da frutta.

«L’idea – sostiene Pauli – è innescare un circolo virtuoso dove i rifiuti dell’uno diventino la materia prima per i prodotti dell’altro». Un modello di economia circolare che, se applicato alla sola Europa, aumenterebbe del 3% la produttività annua, con un impatto – secondo uno studio del McKinsey Center for Business and Environment – di circa 600 miliardi di euro ogni dodici mesi da qui al 2030.
In Cover, tramonto a Ponta Delgada, Isole Azzorre